Un Cuore gonfio d’Amore

Racconto di Natale

Un cuore gonfio d’amore è una riuscita allitterazione, cioè una figura retorica consistente nella ripetizione di lettere o sillabe simili che crea un effetto quasi musicale (p.es. dammi tre parole, sole cuore amore …).

Possiamo avere il cuore gonfio d’amore quando proviamo un sentimento molto forte per una persona speciale; viceversa il nostro cuore può essere gonfio d’odio se nutriamo una particole avversione – a torto o ragione non importa –  nei confronti di qualcuno.

In buona sostanza pare proprio che il cuore si gonfi quando proviamo sentimenti profondi. Almeno in letteratura.

Nella vita di tutti i giorni è raro – ma può succedere – che il cuore, e in particolare di più un ventricolo rispetto all’altro, si gonfi per davvero. Questa malaugurata circostanza si può verificare  se soffriamo di una patologia che colpisce appena 5-8 persone su 100.000: la cardiomiopatia dilatativa. Anche detta idiopatica quando non se ne conoscono le cause.

Suona male eh? Domanda retorica.

Suona malissimo, soprattutto se ti riguarda direttamente e qualcuno che magari indossa un camice bianco e va in giro con uno stetoscopio al collo cerca di spiegartela come farebbe con un bambino di cinque anni.

Quando credi di aver capito e cerchi di rimediare con una faccia intelligente all’espressione da ebete che hai avuto negli ultimi cinque minuti, viene la parte peggiore. Cioè quando il signore in camice bianco ti spiega senza giri di parole che con un EF pari al 20% come hai tu – e ti fa notare come in queste condizioni il fatto che tu riesca a stare in piedi sia già di per sé notevole – la cosa più sensata da fare sarebbe, nell’ordine: pacemaker e lista d’attesa per trapianto di cuore. In fretta.

Mentre la tua bocca si apre e chiude senza che ne esca un solo suono – tipo pesce rosso insomma – e il signore in camice bianco si perde un momento in una spiegazione tutto sommato piuttosto puntigliosa sul cosa sia l’indice di funzionalità cardiaca (EF) e come in un cuore sano questo si attesti al 60% e quindi tu praticamente sei un morto che cammina, riesci a pensare solo a tre parole: trapianto di cuore. Trapianto di cuore. Trapianto di cuore.

Devi essere ricoverato subito. Riesci a strappare un domani, ma solo perché sei ancora in grado di alzarti dalla sedia e hai le chiavi della macchina in mano. Tanto lo sanno che tornerai. Non puoi andare da nessuna parte, anche se è quasi Natale e c’è qualche fiocco di neve nell’aria.

Quando esci e guardi le luci colorate, i centri commerciali e la pubblicità del panettone, tutto sembra meno ridicolo e kitsch del solito. Forse perché per la prima volta pensi che potrebbe essere il tuo ultimo Natale.

Il giorno dopo sei lì, puntuale, con il pigiama da ospedale e le ciabatte e lo spazzolino da denti. Ti spogliano, ti misurano la pressione, ti mettono i sensori e ti collegano a un transponder che trasmette i tuoi dati vitali chissà dove anche se te ne vai in giro.  Il tuo compagno di stanza, forse per rincuorarti, ti mostra la sua cicatrice che va dall’ombelico al collo come una gigantesca cerniera lampo .

Poi aspetti. Aspetti. Aspetti.

Passa la notte, la mattina e il pomeriggio seguenti. E aspetti.

Interrogativi sull’esistenza di Dio e quesiti socratici tipo : “che cazzo ci faccio qui?” non aiutano a far passare il tempo più in fretta. Aspetti.

Hai tutto il tempo per pensare: per esempio a come sia strana la vita. Quando non riesci quasi più a respirare senza una bombola di ossigeno capisci che sei naturalmente portato a dare un sacco di cose per scontate. Tipo che le malattie riguardano gli altri, che tu vivrai in eterno, che la morte non è un problema contingente e cose del genere. E capisci che è proprio la vita, di tutte le cose che dai per scontate, quella che ami di più.

All’improvviso arrivano. La stanza si riempie di gente azzurra, veloce ed efficiente. Ti svestono, ti intubano. Devi toglierti tutto, anche la fede e lasciarla sul comodino. Mentre un sedativo da cavallo ti entra in circolo ti senti solo per davvero.

L’uomo con la cerniera lampo ti rassicura con lo sguardo mentre ti portano via. Vai tranquillo. Ci penso io.

Dopo corridoi bianchi e ascensori d’acciaio visti da una prospettiva orizzontale a cui non sei abituato, ti ritrovi all’interno di un’astronave aliena piena di luci e macchinari strani. Ti infilano aghi e cose che si fanno strada dentro di te e proiettano uno spettacolo a quanto pare interessante di come sei fatto – dentro – su uno schermo gigante.

Gli alieni osservano attenti, armeggiano con i loro attrezzi, si consultano tra loro, finché quello che sembra il capo annuisce e tutti sembrano molto sollevati e quello più vicino a te ti fa un cenno col pollice alzato.

Sei di nuovo a letto. Il dolce viso  di tua moglie fa capolino dalla porta e pensi: “Dio perché hai fatto così belle le donne?” Poi arriva il signore col camice bianco che senza preoccuparsi di avere la tua attenzione perché sa di averla incondizionatamente dice: “proviamo con i farmaci e vediamo che succede.”

E queste sono davvero le più belle parole che tu abbia mai sentito, anche meglio di Shakespeare.

Un anno passa in fretta. Hai dovuto rinunciare ai sigari cubani e al rum agricolo della Martinica, ma non importa. È di nuovo Natale.

L’uomo col camice bianco, che hai visto ogni due mesi durante l’anno appena trascorso,  guarda i referti pensieroso. Si era dato questa scadenza per decidere, e aveva assunto un EF pari o superiore al 35%  come valore di cut-off per intervenire chirurgicamente oppure no.

Ripensi all’anno passato: sei stato bravo, hai preso le tue medicine tutti i giorni, sei andato a letto presto. Non hai dato niente per scontato.

Potevi fare di più? Potevi fare meglio? Nel dubbio ti guardi la punta delle scarpe.

L’uomo col camice bianco butta i fogli sulla scrivania, sorride.

“Sono molto contento” dice.

Allora capisci che un cuore può essere gonfio d’amore e d’odio, ma anche di gratitudine. Vorresti dire qualcosa, ma la voce ti si spezza in gola e gli occhi si riempiono di lacrime. Ti alzi in fretta, saluti e te ne vai. Gli uomini non piangono.

Grazie, Dottore.

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