Norwegian Wood

Ho scoperto Murakami di recente. A trent’anni dalla pubblicazione di Norwegian Wood, più conosciuto in Italia col titolo Tokyo Blues della prima edizione Feltrinelli. Il romanzo prende il titolo da una canzone dei Beatles dall’album Ribber Soul, del 1965. Magari non vi dice niente, ma di sicuro conoscete il celeberrimo riff suonato col sitar (non metto qui il link a youtube sennò vi distraete). La canzone, scritta da John Lennon, racconta di un ragazzo e una ragazza che rimangono svegli fino a tardi a parlare e bere vino, finché lei non va a dormire. La mattina lui si sveglia nella vasca da bagno – non c’era il letto nell’appartamento – e lei non c’è più. This bird has flown. Lei è volata via, e a lui non rimane che fare un bel falò con i suoi mobili in legno norvegese.

Norwegian Wood è un romanzo triste, come la canzone, nonostante il riff allegro . Molto triste. In poco più di trecento pagine si suicidano tre adolescenti. La versione giapponese del Giovane Holden, dice la critica. In effetti i riferimenti sono più che espliciti (dialogo: sei strano, parli come il personaggio di quel romanzo, Holden Caulfield ), ma lo è ancora di più quel senso di estraneità del protagonista nei confronti della vita, dei suoi simili, della scuola. Quel vuoto che ogni adolescente ha provato prima di decidere – o essere obbligato – a riempire. Quel vuoto che sembra volerti ingoiare. È senza dubbio un romanzo di formazione, ma tosto, uno di quelli che non lasciano scampo: o cresci o muori.

In Norwegian Wood c’è anche parecchio sesso. Sesso tra adolescenti, senza enfasi, a volte descritto come si trattasse di pratiche igieniche, tipo lavarsi i denti o farsi il bidet. Ma questo probabilmente è dovuto a un’educazione senza catechismo e sensi di colpa. Poi ci sono meravigliose ricette giapponesi, descrizioni dettagliate di sushi che fanno venire l’acquolina in bocca. Insomma uno sguardo sul Giappone e sulle generazioni del boom demografico del dopoguerra, che paradossalmente hanno sposato la cultura dei vincitori a discapito dei loro padri e delle tradizioni millenarie di questa terra.

Se siete curiosi troverete facilmente la biografia di Haruki Murakami : vi anticipo che è un personaggio straordinario. Appartiene a quella categoria di scrittori che hanno vissuto in prima persona le storie che raccontano. Ma a differenza dei grandi solipsisti come Hemingway e Fitzgerald non dà l’idea di ingigantire le proprie vicende personali. Murakami sembra dire al lettore: “guarda, sono un puntino nella massa grigia, proprio come te, e mi succede questo, e proprio come te non riesco a capire il perché”. Non ha le risposte, ma tanta umanità, e ce la mette tutta per consolarti:

“Per quanto una situazione possa sembrare disperata, c’è sempre una possibilità di soluzione. Quando tutto attorno è buio non c’è altro da fare che aspettare tranquilli che gli occhi si abituino all’oscurità.”

Mi sono piaciuti entrambi: l’uomo e il romanzo. E leggere questo libro ha rafforzato ulteriormente un mio convincimento: cioè che la letteratura abbia il grande e meraviglioso potere di avvicinare le persone, anche se appartengono a culture differenti e paesi lontani.

 

Cit. Norwegian Wood (Tokyo Blues) Murakami Einaudi Super ET

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