Quaderni di architettura e urbanistica: la casetta in legno.

Il giardinetto è un sogno per molti. Che sia al piano terra di un condominio in periferia o di una villetta in zona suburbana. Nuova costruzione in zona verde e tranquilla con giardino esclusivo, recitano gli annunci immobiliari. E piace: un po’ come la vista mare, come l’ombrellone in prima fila. Che poi esclusivo è riferito all’uso, perché un pezzetto di verde vista tangenziale dove cinque piani di condominio soprastante sbattono la tovaglia, sputano e tirano le cicche non ha proprio niente di esclusivo.

Comunque, uno su mille ce la fa, come cantava l’ottimo Gianni Morandi, e si compra il giardinetto esclusivo, augurandosi di arrivare alla fine del mutuo in questo secolo. Poi che cosa fa, una volta divenuto proprietario?

Per prima cosa deve proteggere la sua privacy, quindi tappezza la recinzione perimetrale con quei teli di plastica verde – che nemmeno a Christo verrebbe così bene – perché le piantine che il costruttore ha piantato per la siepe sono alte a malapena venti centimetri e impiegheranno almeno dieci anni prima di schermare la visuale.

Poi saccheggia il più vicino brico-center di sedie, sdraio, tavoli e dondoli; tutto rigorosamente di plastica. Senza dimenticarsi di ombrellone e barbeque.  

Non contento compra un cane, preferibilmente di una razza in via di estinzione – che presto da cucciolo peloso si trasformerà in un gigantesco quadrupede claustrofobico – e gli dà un nome da figlio di VIP tipo Luna, Sky, Nathan eccetera.

Penserete che a questo punto il nostro sia soddisfatto. E invece no, nel giardino esclusivo manca ancora una cosa, la più importante: la casetta in legno.

Dovete sapere che essendo l’Italia il paese degli abusi edilizi, esiste una precisa regolamentazione per questo tipo di fabbricati, nonostante alcune differenze da nord a sud e da regione a regione. Perché quando si parla di urbanistica e regolamenti edilizi è come se Garibaldi non fosse mai esistito.

In linea di principio comunque, un po’ su tutto il territorio nazionale, è consentita la realizzazione di piccoli fabbricati in legno da adibire a ricovero attrezzi da giardino; di solito non più alti di due metri e con una superficie coperta di non più di uno/due metri quadri. Abbiamo comunque anticipato che l’Italia è il paese degli abusi edilizi, quindi nonostante le buone intenzioni, queste regole sono assolutamente inutili.

Torniamo al nostro, che nel frattempo un bel sabato mattina ha raggiunto il piazzale del solito brico- center. Di casette in legno ce n’è una parata, grandi almeno da ricavarci un monolocale per la badante e accessoriate da veranda posticcia e appendice per il ricovero attrezzi. Quelli veri.

C’è da dire che per cavarsi dagli impicci il brico-center ha apposto un cartello prudenziale: per eventuali autorizzazioni che si rendessero necessarie (cioè nella remota ipotesi che) rivolgersi all’ufficio tecnico del proprio comune. A questo punto al nostro viene qualche dubbio, ma ci pensa il commesso a rassicurarlo: “Ma in casa sua lei non è padrone di fare quello che vuole?”.

“Ma certo!” esclama il poveretto, che a casa sua non è nemmeno padrone del telecomando, senza riuscire a trattenere un rigurgito d’orgoglio maschile. Poi se ne va con la casetta in legno smontata sul portapacchi.

Ma portate pazienza, torniamo alle regole solo un momento. Se sulle dimensioni della casetta per ricovero attrezzi possono sorgere dubbi – per esempio sul fatto che un miniescavatore cingolato possa essere considerato un attrezzo da giardino – sul dove non dovrebbero essercene. L’articolo 873 del Codice Civile stabilisce che i fabbricati non possono essere costruiti a distanza inferiore di tre metri dal confine di proprietà. Di norma i regolamenti edilizi comunali sono più restrittivi e fissano a cinque metri tale distanza; dieci metri quella minima tra fabbricati.

Il nostro , quindi, dove andrà a posizionare la casetta in legno che già non è conforme ai requisiti dimensionali? Proprio in confine, naturalmente, ancora meglio se nell’angolo del giardinetto; così da rompere i coglioni al maggior numero di confinanti possibile in un sol colpo.

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Ma non c’è niente da fare, le casette in pino svedese, che non nascondono gli stilemi classici dello stile tirolese tipo i cuoricini negli scuretti delle finestre, spuntano come funghi. A cosa servano poi, cosa nascondano rimane un mistero. Forse fanno da rifugio invernale per i nani da giardino, forse fungono da stanza segreta per perversioni sessuali piccolo borghesi in stile Mr. Grey. Magari nascondono i resti mortali non denunciati del nonno che continua a percepire regolarmente la pensione. Non saprei, ciò che accade al loro interno è celato alla vista dei curiosi. Anche dai teli verdi.

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Come al solito però non possiamo bruciare tutto: qualche rara eccezione in questo scenario di abusivismo edilizio e spregio delle regole a volte c’è.

Casi – rarissimi – in cui casette bianche delle giuste dimensioni vanno d’accordo con casette marroni egualmente dimensionate; casette che rispettano civilmente e reciprocamente le regole e stanno alla giusta distanza dal confine.

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Capita. Raramente, ma capita.

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